Ucraina, se chat e social sono più potenti delle bombe
La guerra in Ucraina, se non la prima social, è sicuramente la più virale. E’ da anni, infatti, che Isis e perfino i cartelli della droga messicani utilizzano i social per la loro propaganda, ma il livello di utilizzo della comunicazione digital raggiunto in questo conflitto surclassa i precedenti. I palestinesi hanno addirittura approntato una vera e propria industria video, Pallywood, specializzata in produrre contenuti da diffondere via social che dovrebbero spingere l’opinione pubblica contro Israele.
La cosa non ci deve stupire: Internet nasce come strumento militare. Il Novecento è stato l’epoca dei totalitarismi, cioè dei sistemi politici che hanno mobilitato perennemente le masse attraverso sistemi di comunicazione quali radio e tv, cui sia Hitler che Stalin che Mussolini avevano dedicato ministeri od uffici ad hoc, nella cosapevolezza che da questi strumenti discendesse consenso e potere reale. Proprio costoro furono lettori de “La psicologia delle folle”, saggio fondamentale di Gustave Le Bon, che studiava la manipolabilità delle masse, quando bersaglio di campagne di comunicazione efficaci, basate su quello che oggi potremmo definire engagement e call to action.
La politica e la guerra sono storicamente e strutturalmente legate a comunicazione e propaganda. La soluzione finale di Hitler si basava su di un falso antisemita della polizia zarista, i Protocolli dei Savi di Sion, dove si sosteneva l’esistenza di un complotto internazionale ebraico per conquistare il mondo. Spesso, il pretesto del casus belli viene forzato con una comunicazione manipolatoria, come dimostrano gli Accordi Plombier. Lo stesso Napoleone perse a Waterloo per un errore di comunicazione con i suoi generali. La comunicazione dà e la comunicazione prende. Se è da anni che propaganda e politica sono un binomio, la scena ucraina è sicuramente l’evoluzione della specie. Zelensky è un ex comico, a riprova dello scambio costante fra politica e comunicazione, e i suoi video, con maglietta militare, e le sue dirette Facebook, sono diventate un vero brand. Il presidente ucraino interviene ai Grammy Awards, nei parlamenti di mezzo mondo, con uno stile pop e avvincente. L’inaspettata e formidabile resistenza ucraina è possibile anche attraverso queste dinamiche di politainment innescate da Zelensky. Quando, cioè, politica e spettacolo si uniscono. Gli stessi ucraini, d’altronde, stanno vincendo la guerra comunicativa, non solo mobilitando il mondo contro l’aggressore russo, di cui vengono diffuse costantemente le atrocità, ma anche grazie alla capacità di captare i vecchi sistemi di comunicazione dell’esercito di Mosca e, dunque, prevenirli e debellarli.
Una cosa inaspettata che questo conflitto sta dimostrando è lo scarso livello militare russo, non solo nella guerra guerreggiata, ma anche in quella non convenzionale. I russi erano riusciti a giocarsi una partita con l’elezione di Trump o i successi di molti partiti populisti e radicali in Europa. Solo pochi anni fa, l’Europa tremava di fronte alla potenza del cyber warfare russo, capace di influenzare le elezioni statunitensi e di favorire la diffusione di teorie cospirazioniste che destabilizzano gli USA, come il noto movimento QAnon. Oggi, i russi si fanno intercettare come dei gonzi e sono costretti a sconnettersi dalla Rete globale perché incapaci di gestire un flusso di comunicazione a loro ostile.
In questo conflitto, chat e post sono più influenti delle bombe. I post sui social network sono diventati una fonte di informazioni cruciale per l’intelligence open source (OSINT) e per i media convenzionali. I social media possono essere utilizzati come strumento per i governi per raggiungere gli obiettivi in tempo di guerra, ha affermato Mykhailo Fedorov, ministro ucraino per la trasformazione digitale, che ha utilizzato Twitter per spingere per un “blocco digitale” della Russia da parte delle aziende tecnologiche globali. Oltre a radunare la NATO e consegnare armi all’Ucraina, la Casa Bianca ha recentemente tenuto un briefing sulla guerra per 30 giovani influencer di TikTok. “Che ti piaccia o no, ci sono molte persone su queste app”, ha raccontato all’Economist Victoria Hammett, che ha partecipato come parte della Gen-Z for Change, un gruppo di attivisti.
Nei conflitti asimmetrici, come quello che stiamo vedendo ora in Ucraina, un account social di successo può essere un’arma utile contro un avversario con molte pistole e carri armati.
Le rivolte locali della Primavera araba del 2010, soprattutto in Egitto e Tunisia, sono state tra le prime campagne in cui i social media hanno svolto un ruolo fondamentale.
I sostenitori della democrazia hanno utilizzato Twitter, Facebook e YouTube per mantenere reti di comunicazione e hanno apertamente criticato i loro governi affinché il mondo lo vedesse.
I social media da soli potrebbero non essere in grado di istigare un cambiamento diffuso, ma possono indubbiamente svolgere un ruolo.
La forza dei social è la forza della comunicazione, ma anche la sua forza o fragilità. Strumenti atti a conoscere per deliberare, per accrescere la consapevolezza democratica, o strumenti di propaganda manipolatoria. Per questo, noi di IGF Italia, l’Internet forum sulla governance del Web, costituito sotto egida e principi ispiratori dell’Onu, siamo costantemente a lavoro su questi temi. Vogliamo un Internet che sia partecipazione, ma perché questo accada, è necessario favorire la giusta cornice regolamentare e decisionale. Proprio perché siamo consapevoli della forza di questa rivoluzione che può ritorcersi contro i cittadini. La soluzione? Favorire sempre un confronto libero e aperto. Lo facciamo con le nostre piattaforme Web e i nostri seminari: il prossimo, nelle Marche, sarà una occasione da non perdere.